Al momento sono solo, in redazione. In effetti dovrei andare a cena come gli altri, farmi deliziare dalle portate che gli Elfi preparano sapientemente per noi ogni volta e scambiare due chiacchiere con chi si siederebbe accanto a me, in Sala Grande. Dovrei, si. E me lo ripeto da una decina di minuti almeno; in un certo senso mi vedo anche già oltre la porta a percorrere corridoi a me noti ormai da più di sei anni. Ma poi sbatto un paio di volte le palpebre e mi ritrovo ancora qui. E questo potrebbe essere l'ultimo pezzo che scrivo, per La Voce degli Studenti, tanto vale che me lo metta in testa una buona volta e ci faccia i conti, con questa prospettiva.
Non spetta a me – né a nessuno scribacchino – decidere le sorti del giornale che nel suo piccolo ha contribuito a tenere i suoi lettori al corrente di quello che capitava nel momento stesso in cui stava succedendo, ma in questa stessa situazione mi rendo conto che si trova anche L'Eco del Corvo. O le squadre di Quidditch che hanno provato a divertire e far appassionare a quello che è e dovrebbe restare solo uno sport. In questa stessa situazione si trovano le cheerleader, la B1 scolastica, i diversi club che mettono insieme la passione per il teatro, quella per la letteratura, l'ingegno e, perché no, anche la buona cucina. E allora, eccomi: sono Jackson Parker, uno fra tanti studenti del settimo anno. Uno che non pratica sport, non segue alcuna attività extrascolastica ed i corsi M.A.G.O. che ha scelto cerca di portarli avanti con dignità e pronto ad apprendere. Uno che, infine, ha appena cambiato idea sul contenuto di una rubrica che forse non riscuote molto successo perché a nessuno piace sentirsi in qualche modo indicato per la propria condotta. Uno che ha deciso, proprio per questo motivo, di scrivere una sola P in Condotta, stavolta, che spero incontri non tanto il vostro plauso, quanto la vostra riflessione. Perché, come la professoressa Welkentosk e la Preside Wallace mi hanno sempre insegnato, è la riflessione che conduce ad una maggiore comprensione. Anche quando si è dalla parte del torto.

1. Si dovrebbe far presente al Bene Supremo che è buona norma comportamentale riferirsi agli individui che ad esso dovrebbero sottostare, come esseri umani e non come ostacoli o mezzi per la sua finale realizzazione. Sarebbe oltremodo preferibile, infatti, lasciare al libero arbitrio ed alla soggettività del singolo la formazione di un Bene che, anche se non definibile come supremo – secondo l'accezione più classica – sia comunque in grado di promuovere la diversità ed il pluralismo di cui tutti, nessuno escluso, hanno bisogno per crescere.

Articolo 72, Sezione Utopica, rigo uno

E' stata un'interessante lezione di Storia della Magia, quella che la professoressa Effie Thirlwall ha voluto per noi studenti del settimo anno, la settimana scorsa. Abbiamo avuto modo di sviscerare, in parte, non solo il concetto di Bene Supremo attraverso gli eventi storici in cui esso è stato tirato in ballo come pseudo giustificazione di un operato, ma abbiamo anche goduto della possibilità di confrontarci su quanto esso possa dirsi soggettivo. O su come possa o meno spettare ai posteri, la sentenza finale sull'operato di ognuno e quindi sulle ragioni alla base del Bene Supremo stesso. 
E' stata una lezione interessante perché mi sono ritrovato a riflettere non solo su quelle che sono le mie idee messe a confronto con quelle dei coetanei che seguono la materia esattamente come me, ma anche perché mi ha dato modo di giungere ad altre conclusioni che possono andare di pari passo con ogni ragionamento storico e non che possiamo fare: lasciare l'ardua sentenza ai posteri.
Il Bene Supremo – da Merlino a Grindelwald – è stato a lungo interpretato dagli storici della Magia, così come da ognuno di noi cosiddetti posteri, ovvero quelli che arrivano comunque dopo e, a conti fatti, hanno in mano tutto ciò che serve per capire ed al contempo spiegare. Il Bene Supremo di Morgana, quello dello stesso Voldemort e persino ciò che è stato il Bene Supremo per Harry Potter, ogni sfaccettatura di quello che Ivy a lezione ha giustamente chiamato prisma, può essere analizzato solo una volta compiuto? Solo a distanza di tempo? E chi invece vive proprio nel mezzo di ciò che dovrebbe condurre alla supremazia di questo Bene Supremo (o, meglio, di ciò che si nasconde dietro di esso) come dovrebbe fare, per orientarsi? Nessun Bene, sia esso Supremo od ordinario, dovrebbe mai richiedere il sacrificio della diversità o l'annullamento del sé. Nessun fine ultimo dovrebbe prevaricare il rispetto per il prossimo né farsi portavoce esclusivamente di una linea di pensiero, per quanto essa possa essere giustificata (magari dai posteri) o permessa dalle condizioni socio-culturali di quel determinato periodo storico.
Io non voglio essere uno dei posteri che deve trovare per forza una motivazione che spieghi, tenga conto di eventuali attenuanti o arrivi persino a comprendere. Io vorrei essere uno di quelli che vive il suo presente nel migliore dei modi possibili e riporta il passato come una memoria, affinché non si perda ma resti lì a fissarmi, così che anch'io possa ricordare a mia volta. Che non esiste un Bene Supremo oggettivo. Che non esiste un Bene Supremo che non si macchi le mani di sangue. Che non esiste un Bene Supremo da idolatrare. Io non sono nessuno, l'ho detto più volte, sono solo uno cui piace scrivere e riflettere su quello che si impara ogni giorno, dentro e fuori da Hogwarts. Non ho pensieri da imporre, non possiedo un Regolamento a parte, nonostante conosca a memoria quello che questa Scuola possiede da secoli. Non amo le considerazioni oggettive e la sola cui posso prestarmi volontariamente è quella che quasi ogni mago o strega che ha lasciato il castello, ha infine pronunciato, almeno una volta nella vita: Hogwarts sarà sempre qui a darci il bentornati a casa. Se devo proprio pensare ad un Bene Supremo, quindi, per me è questo: che ognuno possa sempre sentirsi a casa.

Jackson Parker. Scozzese con il kilt di castità, si vocifera che abbia imposto il rispetto delle regole anche alla Piovra Gigante, ricevendo come risposta una doccia gelata e qualche apprezzamento – non recepito come tale – da parte di poche svenevoli studentesse intente a bighellonare sulle sponde del Lago Nero. Creatore inconsapevole di doppi sensi che è il primo a non afferrare come tali, ha fatto del regolamento scolastico una delle sue ragioni di vita, al punto da essere più noto come Il Moralizzatore che con il suo nome di battesimo. Incline a salutare chiunque più volte al giorno come se non ci fosse un domani, se non altro ha finito di far sanguinare le orecchie altrui millantando una parentela alla lontana con Agatha Wickham, errore scaturito probabilmente da tutte le volte che gli viene augurata una morte lenta e dolorosa per aver sabotato feste non autorizzate o coprifuoco non rispettati. Affetto dalla sindrome di sorellanza con gran parte delle sue coetanee e circondato spesso da esponenti di sesso femminile, più che un Billywig che va di fiore in fiore si tratta in realtà di un pianeta interstellare ancora inesplorato. Letteralmente.