Immaginavo sarebbe arrivata anche a me una letterina del genere, prima o poi, o forse semplicemente un po' ci speravo. Mi sembra ieri il giorno in cui queste lettere le ho mandate a settimini appena usciti da Hogwarts, e invece eccomi qui con in mano un paio di righe da parte di Leroi. E sebbene abbia letto diversi articoli di questa serie, prima di pensare a come buttar giù due righe che non fossero banali e potessero realmente servire a qualcosa e a qualcuno – non fraintendetemi, non credo di aver avuto un'illuminazione divina e né che la avrete voi dopo aver letto queste righe, ma mi piace pensare che possa essere utile, quantomeno a me – non mi ero preoccupata troppo dello strano significato di questa domanda: Che Voce ti dai? Appurato che, come ha ribadito anche Harriet, nessuno di noi ha le risposte a domande esistenziali,  proverò a dare una mia idea di tutta la faccenda e a fornire un contributo a quello che possiamo quasi considerare un coro eterogeneo. E' strano vedere quante cose possano cambiare in un periodo di transizione come quello che ci porta dal concepire un là fuori a, quasi senza accorgercene, un improvviso balzo qua fuori.

Qualcuno direbbe che si tratta di una sottigliezza linguistica e nulla più, ma io non sono d'accordo. Qualcun altro, magari i più artistici o cavillosi tra noi, direbbe che è una evoluzione necessaria dettata dal semplice cambio di prospettiva; come quando, guardando il Lago Nero, vi accorgete che la linea dell'orizzonte è proprio all'altezza dei vostri occhi e davanti al vostro naso, e che vi lascia intravedere più o meno acqua a seconda di quanto in alto siete disposti a portare il vostro sguardo. E' banale e ovvio, ma fateci caso la prossima volta che sarete sulla sua riva e cercare di convincere qualche primino che avete un modo infallibile per fargli vedere la piovra gigante e che lo farete solo in cambio della sua intera scorta di cioccorane. Qualsiasi sia il motivo, comunque, la linea che divide lo status di studente del castello da quello di qualcuno che è riuscito a uscire da lì - il che non necessariamente ha connotazione positiva come potrebbe sembrare a settimini impazienti di magarsi – c'è ed è ben marcata, come quella che lega i Muldoon ai Kestrels o Harrenhal ai cappelli, tanto per fare due esempi. Senza essere brutale o ingigantire le cose, là dentro si danno per scontate troppe cose. La realtà del castello sarà talmente radicata in voi dopo sette anni di convivenza, abitudini e compagnia cantante, che accorgervi che le cose non vanno esattamente come ormai siete convinti vadano potrebbe per alcuni versi risultarvi traumatico. In tanti hanno provato a scoppiare questa bolla di sapone in cui molti sembrano rinchiudersi, ma è meglio soffiarci sopra che aspettare scoppi in modi più improvvisi e meno pacifici. Come con l'essere ricoverati d'urgenza al San Mungo al reparto di igiene mentale. A qualcuno è successo anche questo. Vi faccio giusto un paio di esempi, tanto per rendere l'idea. La garanzia di tre pasti al giorno senza alcuna fatica da parte vostra se non preparare psicologicamente la mandibola e i vostri denti, tanto per cominciare, ma analogamente tutto ciò che discende direttamente dalla presenza di numerosi elfi domestici tra le mura scolastiche. Il non vederli abitua a pensare che le camere si sistemino da sole per magia… o che, se vogliamo essere proprio eretici, il cibo si cucini da solo in barba alle leggi di Gamp. L'idea di tirar fuori le vecchie ricette di Dorothy o Alcyone, stavolta per provare a farle e non solo per sbavare copiosamente sulle foto, vi stuzzicherà non poco. E non scoraggiatevi se inizialmente – o non solo, insomma non tutti possono avere talenti in tutti i campi – vi usciranno male. Personalmente, se può consolarvi leggermente, vivo con Vinnica e Rowena e i primi tempi abbiamo quasi fatto scoppiare degli aggeggi babbani nel tentativo di fare i pop-corn (quindi insomma, non proprio opere di alta cucina). 

Per non parlare poi del fatto che Hogwarts è un mondo a parte. Qualunque cosa ti serva, è a portata di mano e facilmente raggiungibile, con tragitti che non durano più di venti minuti complessivamente – nel caso estremo in cui dobbiate andare dal limitare della foresta fin sopra alla torre di Astronomia – e non presentano grandi difficoltà: ti serve un libro, vai in biblioteca; ti serve una persona, hai più o meno idea di dove potrebbe essere; ti va un giro in scopa, il campo di Quidditch è pronto ad accoglierti. Per avere un vantaggio simile, una volta fuori, dovete necessariamente essere capaci di smaterializzarvi… e non sempre basta. E per la rubrica chi bolide se ne frega, vi sorbirete un altro dei miei aneddoti da magata libera e felice, giusto perché qualcuno mi ha detto che in realtà dovrei darvi uno spaccato di cosa fa uno studente una volta finita la carriera scolastica – ma tranquilli, non vi ammorberò troppo – e quindi vi assicuro che è molto comodo alzarsi e avere l'aula a pochi piani sotto. Attualmente frequento la Sabu, anche se non per stalkerare la Burton come può dire chi pensa che io la voglia copiare in tutto e per tutto, e vi assicuro che riuscire a beccare la passaporta giusta all'orario giusto non è impresa facile, tanto che anche il mio caro Ismail Zucca Fehr ha spesso problemi di questo tipo. Infatti facciamo spesso ritardo insieme e non perché ci facciamo foto da mandare ad Anne. Su una cosa potete star certi; uscire da Hogwarts vi fa cambiare, ma non radicalmente. Infatti la mia vita è ancora una Macedonia – a proposito avete visto quanto siamo brave io e Chris con la Scopalinda? Per brave intendo che facciamo spettacolari incidenti – e ancora non sono riuscita a imparare ad essere sintetica. Ai pochi temerari che sono arrivati a legger fin qui, posso lasciare le conclusioni del mio flusso di coscienza.

Non posso dire se la vita qua fuori sia meglio o peggio di quella là dentro, ma posso dirvi che dovrete dire bye bye a un mucchio di cose che davate per scontato, ed essere pronti ad accettare i cambiamenti con spirito critico. Se siete dei Grifondoro nel cuore, come me, sarete ben felici di scoprire che le occasioni per lagnarsi non mancano… anzi! E poi fa bene cambiare routine. Ma non mi sono scordata di rispondere alla domanda! Dicono che non conosciamo davvero la nostra voce, cioè che la voce che ci sentono gli altri è sempre diversa da quella che avvertiamo quando ci sentiamo parlare… perciò secondo me il punto focale non è cercare di inquadrarsi in una Voce, ma ascoltare quelle degli altri in modo che la vostra – qualunque sia – non strida troppo. Che poi parliate all'unisono con qualcuno o siate una tipica voce fuori dal coro, beh, spetta a ognuno decidere. L'importante è non parlare da soli, che concentrarsi troppo e solo sulla propria voce risulta ridondante e alla lunga spiacevole, oltre che improduttivo.

N.B.: fonti attendibili mi hanno rivelato che, quando una persona riascolta la propria voce registrata – deve essere qualche diavoleria elettronica – nella maggior parte dei casi se ne vergogna o ritiene di avere una brutta voce. A meno che non la contempli narcisisticamente, e allora si spiegano tante – tante, tante, tante – cose. 

Margareth Lowenn. Ex Grifondoro fresca di studi e con la mania del multitasking. Non ha perso il vizio di voler fare troppe cose contemporaneamente, infatti studia all'Accademia di Aritmanzia e corre con la Scopalinda in GT2. Ma la cosa che le riesce davvero bene, da sempre, è attaccare bottone anche coi muri, con metodi poco ortodossi che prevedono abbracci e stridolini e che è un miracolo non le abbiano ancora provocato qualche schiantesimo. Continua anche da fuori ad essere un'appassionata della Voce e a nutrire meno simpatia per l'Eco, come per quasi tutti i Corvonero in generale. C'è chi dice che sorrida sempre per compensare la mancanza di sorrisi da parte di alcune persone, e chi consiglia di fuggire nel caso la si dovesse incontrare, perché ha la stramba abitudine di iniziare a ballare inneggiando la Macedonia.