Conosciamo tutti, ormai, le famose fiabe di Beda il Bardo. Le infinite chiavi di lettura che si celano dietro le rune su pergamena di un vecchio aedo inglese, infatti, hanno accompagnato milioni di giovani maghi nella loro infanzia. Cosa, invece, sconosciuta ai più, è la stretta analogia fra i racconti degli antichi cantori e le leggende tramandate di generazione in generazione nei piccoli borghi scozzesi. Una mia cara amica, Ursula Hinchinghook, ha cercato appositamente di soddisfare la mia richiesta di recuperare una vecchia narrazione, mettendo per iscritto ciò che ricorda essere il racconto dei nostri avi. Vi era una storia, a quei tempi, che spiega come credenze escatologiche rispettino le leggende più basilari della nostra tradizione. Ad esempio, questa che la nostra amica Ursula ci riporta vuol cercare una spiegazione tutt'altro che logica al riverbero di luce che notiamo fissando il sole. Ma non è certo di questo, che vorrei parlare. Spesso ai giovani maghi sfugge il percorso che abbia portato all'ex-abrupto finale, alla soluzione ultima. Vi chiedo, difatti, di soffermarvi più su ciò che avviene all'interno della leggenda, tirando sì il famoso sospiro di sollievo quando sopraggiunge l'ultima frase, ma come fosse pneuma vitale della risoluzione.

"Tempo fa, come ora, luce e oscurità erano in conflitto. Un conflitto atavico e interminabile. Durante le notti senza luna, il male era perennemente in agguato; i custodi della luce, maghi senza volto né nome, vagavano in ogni luogo con delle torce inestinguibili per contrastare il potere oscuro e guidare i cuori incerti. Indossavano dei mantelli che li celavano alla vista, perché nessuno potesse riconoscere i volti di grandi e piccoli maghi, fratelli e compagni di vita, umili cittadini e impavidi fanciulli. Una notte di luna nera, durante una battaglia, uno dei custodi della luce perse il suo mantello. L'alba era alle porte, quando il mago senza mantello venne allontanato dai compagni. I buoni batterono in ritirata, per non tradire il loro ideale di difendere al meglio l'umanità. La conoscenza avrebbe creato il panico, e il panico avrebbe portato la guerra su un binario che conduceva alla morte. Il mago senza mantello rimase per giorni e notti in disparte, cercando un modo per riparare al danno subito, ma senza successo. All'alba del secondo giorno, il suo allocco lo raggiunse sotto una pianta di alloro, consegnandogli un mantello rattoppato e interamente trapuntato: "Lo abbiamo fatto per te, mettendo insieme parti dei nostri mantelli", dissero gli altri maghi, mostrando le loro cappe. Su tutte c'era uno strappo, in corrispondenza del cuore. Da quell'alba, ogni volta che uscivano a custodire la luce, i passanti potevano notare dei riflessi che per qualche secondo li rendevano quasi ciechi. La luce delle lanterne che filtrava attraverso i fori, ma nessuno lo sapeva."