Controeditoriale

di Catherine Smith

Durante questi ultimi anni, tanti scribacchini si sono divertiti a giocare con la parola "Halloween", scomponendola sempre in maniera più o meno originale, sfruttando persino le varie assonanze a cui si presta questo nome. Per una volta, invece, a me piacerebbe riportare l'attenzione sulle vere origini di questo termine, che altro non è che una variante scozzese del più classico "All Hallows Eve". Una cosa che accomuna maghi e babbani è quella di dedicare più attenzione alle vigilie delle feste, piuttosto che alle feste stesse. Non è poi così strano però, se ci riflettete: è più divertente organizzare i preparativi per Halloween, piuttosto che stare in Sala Grande a mangiare durante la festa, nonostante non ci sia più il rischio di venire sgozzati con uno zuccotto ma, al massimo, quello di rimanerci secchi per la presenza dell'ennesimo intruso che piomba senza preavviso nella scuola. E' un periodo che si trascorre all'insegna di scherzi più o meno di cattivo gusto, in cui si va alla ricerca del costume più spaventoso o di quell'incantesimo perfetto che renderà gli addobbi davvero, davvero terrificanti.
Tutto sommato però, Halloween è una tra le feste che preferisco e non tanto perchè non sei obbligato ad indossare uno di quegli orrendi abiti da cerimonia che si vedono al Ballo dell'Agrifoglio ma, più che altro, perchè è la festa in cui si abbattono le frontiere. Secondo la tradizione, infatti, allo scoccare della mezzanotte tra il 31 ottobre e il 1 novembre si abbassa quel muro che separa il mondo dei vivi da quello dei morti. E' una cosa che alcuni trovano affascinante, probabilmente perchè nutrono la speranza di poterne dire quattro alla loro bisbisnonna che non gli ha lasciato nulla in eredità, altri invece provano paura e timore, un po' come succede ogni volta che si abbassa qualsiasi tipo di barriera. Ma non è questo il bello di Halloween, dopotutto? Correre dei rischi, osare, stupire… spaventare.
Quest'anno, se volete davvero far prendere un colpo a qualcuno, provate ad abbattere qualche barriera anche voi. Basta poco, posso confermarvelo. Pensate, per esempio, a quel filtro che si interpone tra i vostri pensieri e la vostra voce. Cosa succederebbe se abbattessimo questa sottile barriera e fossimo costretti a dover esprimere tutto ciò che ci passa per la mente? Immaginate, che so, di trovarvi davanti al professor Thofteen ed essere costretti a dirgli che pensate che non sia affatto giusto che abbia preso il posto del professor Harrenhal come capocasa, nè tanto meno che meriti la cattedra di aritmanzia perchè vi mancano troppo le perle di saggezza del professor Wenlock. Sentite questa, anche: immaginate per un solo giorno di ritrovarvi faccia a faccia con la Outteridge e di sentire l'impellente bisogno di riferirle che è proprio il caso che vada in pensione, perchè non ha più l'età per insegnare, e che la Dalloway è una grandissima arpia che si diverte solo a mettere votacci agli studenti. Siete sicuri che in occasioni del genere non preghereste che Allen Hollowdale venisse in vostro soccorso a censurarvi? Non ci sarà nulla a cui potrete appellarvi per giustificare quello che involontariamente è uscito dalle vostre labbra. Niente spore di polemianta che vi rendono cattivi peggio di un Erinni, nessun Imo che ha fatto uscire la parte più violenta di voi, e nessuna Cambiapersonalità che altera il vostro comportamento. E' sufficientemente spaventosa l'idea di doversi prendere la totale responsabilità di dire a voce alta tutto tutto ciò che vi passa per la testa? E di accettarne le relative conseguenze, ovviamente. Ora sta a voi divertirvi o spaventarvi, a seconda dei punti di vista, facendo questo piccolo esperimento. Occhio a non barare però: è severamente vietato pentirsi, rimangiarsi ciò che si è detto, ammettere che si è stati fin troppo avventati e poco riflessivi prima delle ventiquattro ore da quando si inizia a parlare a ruota libera. Buon Halloween!

 

Vita da docente

di Wyatt Fitzpatrick

Mentirei se dicessi di non essermi emozionato un po’ quando mi è stato chiesto di scrivere questo trafiletto. Durante i sette anni trascorsi tra queste mura, ho provato più volte ad inserirmi nella redazione di allora, ma ogni tentativo è stato infruttuoso. Dopo l’ennesimo rifiuto, decisi di ribellarmi e di dimostrare, da solo all’intero castello, quanto fossi capace, contrariamente a ciò che si diceva in giro. Fondai così il mio personalissimo Mensile del Piccolo Astronomo con cui non solo avrei dato mostra della mia bravura ma, avrei anche avvicinato la popolazione studentesca a quello che, all’epoca come adesso, era una parte massiccia del mio mondo. Beh, potete immaginare benissimo da soli come sono andate le cose, visto che nessuna traccia di questo mensile è giunta fino a voi. E non è perché ci misi poco impegno! Spesi davvero molto tempo ed energie in quell’impresa, ma alla fine dovetti accettare la triste realtà dei fatti: parlare e leggere di Astronomia fuori dall’orario di lezione non era un desiderio comune ma, soprattutto, quella della scrittura non è una dote che mi appartiene. Tranquilli, con gli anni sono migliorato un po’: non posso promettervi un racconto avvincente, ma farò del mio meglio per non tediarvi più del necessario.
Non ho mai pensato di fare dell’insegnamento il mio lavoro. Assistere il professor Tor all’Osservatorio era un modo per proseguire le mie ricerche in ambito accademico: potevo continuare a viaggiare per apprendere sul campo, dai racconti delle popolazioni locali, quello che sui libri non potremmo imparare mai; poi, potevo condividere il mio lavoro con gli studenti dell’Osservatorio, alcuni dei quali avevano pensieri davvero illuminati e illuminanti, una fra tutti colei che ha finito per seguirmi fin qui. È stato, forse, il ricordo della dedizione che ho visto tanti qualche anno fa nella mia assistente che mi ha spinto a dire di sì, senza indugio alcuno, quando mi è stato offerto di tornare tra queste mura come docente di Astronomia.
All’Osservatorio Håkon sono molti i neo magati che arrivano senza avere chiara l’importanza di questa materia: tornando qui, avrei avuto modo di far capire a studenti nel fiore degli anni quanto le conoscenze astronomiche sono fondamentali per la stessa conoscenza della nostra magia; avrei potuto trasmettere loro la mia stessa passione e fargli comprendere quanto sia bello anche solo ammirarla per un’ora o due, la volta celeste.
Devo però ammettere che dopo il sì, la strada non è stata tutta in discesa, anzi. Ricordate come vi siete sentiti quando, andando a letto il 31 Agosto, sapevate che l’indomani ad attendervi c’era un treno che vi avrebbe riportati a casa o che vi avrebbe accompagnati verso una nuova avventura? Io sì e mi è stato dato modo di rivivere, dopo tutti questi anni, queste stesse sensazioni e di sentirmi nuovamente a casa varcando il portone d’ingresso. Insieme a tutto ciò, però, c’era anche un pizzico di timore. Temevo (e un po’ continuo a farlo tutt’ora) di non essere all’altezza, di non riuscire a gestire una classe di bambini e di essere guardato con diffidenza da quanti avrebbero preferito ritrovare il volto noto del professor Marston.
Sapete, avere la responsabilità della vostra istruzione non è cosa da poco. Questi anni che passerete a formarvi sono molto importanti per il vostro futuro e noi docenti dovremmo essere almeno una piccola parte di quell’esempio da seguire. Insomma, è una gran bella responsabilità quella che abbiamo: non è certo una vita facile quella degli insegnanti. Avrete notato che preferisco dialogare con voi, spingervi al ragionamento piuttosto che riproporvi quanto troverete con tanto di illustrazioni sul vostro libro di testo o su qualsiasi altro manuale di cui la biblioteca è senza dubbio fornita. Ma questo mio modo di fare potrebbe essere come una di quelle bacchette farlocche che si trovano da Zonko’s e non essere di nessuna utilità né per voi né per me. Anche questo va studiato, cesellato, affinché vi sia il giusto equilibrio. No, la vita di un docente non è affatto facile ma, dopo appena due mesi, mi sento di dire che sono ben lieto d’aver accettato ed è gratificante vedervi partecipare attivamente alle lezioni. Poi, magari, chiedetemelo a giugno se la penso ancora così.