Noi tassorosso, si sa, siamo grandi chiacchieroni – e vedendo gli editoriali e gli articoli di Merida sono sicuro che non avrete alcun dubbio – per cui in sala comune il 15 dicembre, al ritorno dalla cena, i piccoli pargoli primini supereccitati non parlavano di altro se non di una stragrinzafichissima partita di quidditch, al che il sottoscritto, da amante di ogni forma di vita femminile e di quidditch, ha teso l’orecchio a queste chiacchiere e ha registrato tutto nella propria testolina…sarebbe stato da maleducati – e da sciocchi – alzarsi dal comodo divano, allontanarsi dal fuoco, sentire le gambe e le ginocchia che scricchiolano – ho una certa età -, il tutto solo per andare a recuperare piuma e pergamena. In quel clima di novità e fibrillazione ho dimenticato per qualche istante ciò che è successo nella nostra sala comune e che sta accadendo in tutta la scuola, con tutti quei compagni e non bloccati in infermeria o costretti ad andare in giro con i guanti pur di non fare del male. Le vocine concitate e briose dei primini nel raccontare la loro lezione di volo del pomeriggio tenutasi in infermeria sono state il giusto zellino di scambio per la mia tristezza e preoccupazione e per questo sono loro grato. Che non dicano che il brio e lo spirito dei primini non facciano bene al cuore eh, in questo periodo più che mai probabilmente.

Non potrò regalare a voi cari lettori alcun ricordo di quello che è stato mostrato, sulla pergamena mi è impossibile, ma non sottovalutate l’immenso potere della piuma…siamo o non siamo dotati di magia? Dunque, fate quello che vi è più facile fare: chiudete gli occhi e immaginate.
Immaginate di essere in un campo di quidditch pieno zeppo di gente, con striscioni sventolati senza sosta, con pon-pon incantati che prendono le più svariate forme esistenti, con urla e fischi in ogni dove, le luci intense già pronte per illuminare anche solo un pelo del naso dei giocatori, le diverse sfere-visione distribuite in alto e nelle parti laterali, i commentatori pronti con le loro bacchette puntate alla gola per rendervi partecipi di ogni cosa accadrà di lì a poco, l’intenso odore di cibaglie dolci e salate che trovate smerciate ovunque, per qualche zellino o poco più. Sugli spalti, a questo punto, focalizzerete la vostra attenzione sul bimbo che piange perché vuole una cioccorana e la mamma che cerca di calmarlo, vedrete le ragazzine anch’esse in lacrime ma perché il loro idolo sta per scendere in campo e bramano sopra ogni cosa il suo autografo anche sul corpo (Merida, se vuoi il mio basta chiedere eh), vedrete anche quelli che a braccia conserte devono sorbirsi una partita di qualcosa di cui non capiscono un bubotubero marcio e che sono lì solo per far piacere a qualche amico o per far colpo su qualche ragazza. Ma non è finita. Focalizzate, ancora, gli appassionati propriamente detti che sembrano tante statue di pietra in piena concentrazione e contemplazione o quelli che preferiscono, piume e pergamene alla mano, iniziare a fare pronostici e scommettere con gli amici accanto sulle pluffe segnate o sui bolidi andati a segno…in fin dei conti la cattura del boccino è un 50%, è troppo da dilettanti avere un tale range su cui scommettere. E poi, ultimo ma non per importanza, ci sono io – no, non ero nel ricordo del professor Oakby -, quello che si sporge dalle transenne, quello che cerca di allungare il collo per vedere solo Merlino sa cosa, quello sorridente, quello a cui sbrilluccicano gli occhi che assumeranno ben presto la forma di due enormi cuori, quello la cui passione si legge in faccia e non ha problemi a mostrarlo, non ha motivi per nascondersi dietro il mutangolismo o dietro pergamene e calcoli aritmantici. Solo la passione, fine a se stessa, nient’altro. Avete immaginato tutto ciò? Bene, perché adesso i giocatori entrano in campo e gli occhi di tutti sono puntati su di loro, concentrati ed omaggianti il pubblico che li accoglie facendosi sentire forte e chiaro, le luci forti e calde rischiarano a giorno la parte centrale del campo. Ma c’è un momento, quello del lancio iniziale della pluffa, in cui cala il silenzio e si tiene il fiato sospeso; unico oggetto di interesse? La sfera cremisi. Eccola, sfreccia in alto, ecco il suo picco, il punto più alto della sua ascesa. Fermatevi qui, bloccate l’immagine alla sfera alta con tutto ciò che le sta intorno. Gli appassionati amano i dettagli, sono quelli che ci distinguono dai normali tifosi. E’ questo il momento che preferisco, quello del picco della pluffa. Puoi sentire scorrere l’adrenalina nell’aria, puoi sentire la scossa di tensione farsi spazio fra i giocatori, puoi sentire il cuore in gola dei presenti, puoi sentire il fruscio di quella gocciolina di sudore scorrere timida e lentissima sulla fronte del capitano; puoi vedere gli occhi spalancati, le iridi di tutti che puntano quella sfera, i muscoli ed i tendini dei giocatori in trazione pronti a scattare come molle al momento giusto, le labbra dei commentatori schiuse per permettere all’aria di fare il suo ingresso visto che fra qualche istante non ne avranno più la possibilità.
La pluffa inizia il suo moto discendente e prima che noi normale plebaglia possiamo accorgercene eccoli già i giocatori alla contesa; in un guizzo felino si sono gettati a capofitto sulla pluffa e quando qui dagli spalti si inizia a capire da che parte sia la pluffa, in mezzo al tutti quei mantelli svolazzanti e quei manici che per poco non si incrociano, il cacciatore è già per la prima volta davanti gli anelli. La prima azione di gioco è la più veloce, i muscoli sono caldi e reattivi, il picco di adrenalina scorre in circolo, la stanchezza è inesistente, l’acido lattico solo un dolore futuro a cui sono consapevoli di doversi sottoporre…solo in pochi eletti riescono a seguire la cremisi come Merlino comanda ma non scoraggiatevi, non è un problema, con la vostra immaginazione potete mettere in pausa ogni momento di questa partita e concentrarvi su quello che sta intorno ad ogni azione. Perché, vedete, c’è differenza fra guardare una partita quidditch e sentire una partita di quidditch, sulla pelle proprio. Personalmente preferisco, da qui in poi, guardare più i movimenti dei giocatori intorno i possessori di palle che altro; se ci pensate è da loro che scaturisce il gioco, non tanto da quelli che conducono pluffa e bolidi. I fantasisti, sono loro che si propongono per far proseguire il gioco in un certo modo e da un rapido sguardo di ciò che li circonda capiscono se, dove, quando e come è il caso di agire.

Riportando nuovamente lo sguardo sugli spalti potrete notare come questo è il momento preferito degli scommettitori per prendere le loro piume ed iniziare a fare pronostici, ad immaginare punteggi e quant’altro, magari un movimento di gioco che poi, nella realtà dei fatti, non vedranno mai e poi mai in azione. Il quidditch è così, è imprevedibile, può esserci il sole e piovere cinque istanti dopo, puoi infortunarti per sbaglio, puoi perdere il baricentro ideale sulla scopa e cadere da essa; la cosa fondamentale, e più bella, è lasciarsi coinvolgere e sopraffare dall’imprevedibilità di questo gioco. Non cercate di prognosticare, calcolare, razionalizzare altrimenti che bello c’è?

Un forte SDENG cattura la nostra attenzione in campo per l’ennesima volta: è un bolide che ha colpito parte della scopa del cercatore. Ma rivediamo la scena a rallentatore. Ricordate, voi potete farlo, potete fare ogni cosa che volete. Immaginate quel bolide selvaggio, immaginatelo come dotato di occhi, bocca e naso, un bolide incattivito, quasi mostruoso, con denti affilati che non appena ha intercettato la sua preda si mettono in movimento, un colpo poderoso di fianchi che lo fa sfrecciare, dotato di vita propria. E’ questo il bolide cari ragazzi miei, è come un’entità vivente, che trova nel giocatore più vicino il suo nemico, attratto come una calamita da esso, ma che si lascia rabbonire solo se il suo avversario è talmente all’altezza della propria forza…ecco spiegato come si può rimpallare una palla incattivita e mostruosa e piegarla al proprio volere. Anche il cercatore, se vuole vincere sul bolide, deve dimostrargli di essere più intelligente, più ingegnoso e meno prevedibile di quel mostro; solo così si piegherà al suo volere e lo lascerà in pace. Poi, chiaramente, più il bolide è stato incattivito dal colpo della mazza del battitore più difficile sarà placare la sua ira funesta, fargli abbandonare ogni intento di far del male, di vendicarsi.

Ma abbiamo guardato i battitori ed i cercatori e senza quasi neanche accorgercene il tabellone è stato un continuo crescendo e ne siamo stupiti, abbiamo spostato la nostra attenzione sul gioco dei bolidi giusto per un attimo, come è possibile? Il quidditch è come la realtà…in completo e totale divenire. Un rapido divenire aggiungerei. Ma fin quando non ci sarà qualcuno che urlerà “boccinoooo” possiamo pur stare tranquilli che ci verrà data la possibilità di vedere quella pluffa finire fra gli anelli.

Un improvviso ed inaspettato fischio dell’arbitro e tutte le teste, dal campo agli spalti, sono puntate in uno scatto repentino verso di lui. Un rigore. Il rigore, è uno dei momenti che preferisco e se ve lo state chiedendo è per via dell’individualità del momento. Sono solo lui, il cacciatore ed il portiere, non c’è nessun altro, nessuna fonte di fastidio. Le aspettative sono tante, spesso parecchio elevate, la responsabilità non indifferente sia da un lato che dall’altro. In posizione il portiere sembra il padrone degli anelli, lì davanti a quelle tre circonferenze dorate da proteggere ad ogni costo, per il proprio nome e per il bene della squadra. Le ginocchia flesse, le mani strette intorno al manico, il busto piegato in basso, i muscoli che si contraggono e si rilassano come molle che si preparano ad essere sganciate, gli occhi chiusi a due fessure, la fronte imperlata di sudore, la concentrazione che si legge in ogni ruga corrucciata della fronte, le iridi che saettano dalla pluffa alle gambe dell’avversario per capire da che parte sarà il tiro. Dalla parte opposta il cacciatore, che in fin dei conti deve fare una scelta fra tre anelli. Il centrale si evita in queste occasioni, meglio fintare verso uno dei due laterali e poi spizzarlo dalla parte esattamente opposta ma…ci sarà tempo? Sarà forte? Sarà preciso? Sarà possibile? Se, quindi, il portiere si prepara fisicamente il cacciatore prima di ogni altra cosa deve fare una scelta che non sarà comunque facile, non sarà sicura, non sarà scontata. Il resto verrà da sé. Il braccio indietro, un colpo potente, la mano che accompagna la sfera fino alla fine per poi torcersi con decisione, in quello che vorrebbe essere un tentativo di darle un effetto, un effetto imprevedibile. Ed eccolo il portiere, quello che si chiude nella sua posizione aerodinamica, si spalma sulla scopa per evitare il minimo soffio di aria che possa destabilizzarlo, che possa impedirgli di essere un tutt’uno con essa. Il corpo si allunga nella parte terminale dello slancio e con esso, infine, quando sono stati raggiunti la giusta velocità, coordinazione ed equilibrio si allunga anche il braccio, con la mano e le dita che si estroflettono come le più longilinee delle terminazioni. La pluffa viene acciuffata e fatta propria, accompagnata dal tripudio dei tifosi e dal sorriso soddisfatto sul volto del portiere.
Non si ha neanche il tempo di riprendersi da questa botta di adrenalina che qualcuno – lo sentite, il bambino con il lecca-lecca ed il ditino puntato in alto verso un punto indefinito del cielo? – urla quel “BOCCINOOOO” tanto atteso. I nasi di tutti sono immediatamente verso l’alto, le iridi saettano per tutto il grigiore delle nuvole gonfie di pioggia, gli occhi cercano di focalizzare quello sfarfallare di alette dorate. Ma i cercatori sono più attenti e più reattivi di noi – sia ringraziato Merlino per tutto ciò – ed in un batter d’ali sono lì, alla rincorsa di quella sferetta, alla rincorsa della vittoria. Potrebbe essere un testa a testa, potrebbe pure non esserlo per via della stanchezza di uno piuttosto che dell’altro, ma è in questo momento che tutto ciò che è accaduto durante la partita viene messo da parte…tutto il dolore, tutta la stanchezza, tutti gli arti che strepitano per l’agognato riposo, tutto l’acido lattico in circolo…tutto rimandato a dopo. L’ultimo sprint, solo l’ultimo, e poi ci sarà un vincitore. Le scope sono l’una accanto all’altra, le spalle degli avversari si sfiorano, il tifo dagli spalti accende il loro spirito e lottano fino allo stremo delle forze. Fin quando entrambe le braccia, stese, possono anche solo pensare di raggiungere il boccino dorato da quella distanza, fin quando uno di loro lo stringerà vittorioso nella mano, ben stretto onde evitare che possa sfuggire via. Il suo obiettivo del giorno, raggiunto. Ed è solo fragore, solo urla di gioia e cori festanti che accolgono quel momento. E’ la fine. Vittoria.

Ci siete riusciti? Avete immaginato tutto per bene?

Questo è il migliore regalo che possa farvi, quest’anno: vi regalo l’immaginazione, non visioni, non ricordi, non illusioni, solo immaginazione. O meglio, solo la miccia per dare il via, perché nessuno può vivere senza immaginazione. Tipo, io immaginerò ugualmente il ballo dell’Agrifoglio con la mia Merida anche se lei non ci verrà mai con me e non è da sfigati, è rifugiarsi in un mondo immaginario quando quello che vuoi non puoi averlo e trarne ugualmente gioia. Merida…vivimi, amami, sposami. Tranquilli, sto ancora immaginando.

Buone feste a tutti, dal vostro amatissimo – so che è così, non negatelo – e toscanfichissimo scribacchino Michael. Bacioni.

Michael McCohen. Quintino tassorosso, scozzese, amante della vita in tutte le sue forme e misure ma soprattutto delle donne, dalle più piccole alle più grandi senza distinzione alcuna. Ritiene che siano la forza che permette al mondo di ruotare nel verso giusto e niente gli potrà mai far cambiare idea. La sua preferita, però, resterà Merida alla quale lascia tutti i giorni, sulla sua scrivania della Redazione, fiori freschi e cioccolatini ogni venerdì pomeriggio alle 17. Ama le materie teoriche che tutti considerano “out” come astronomia, storia della magia ma soprattutto divinazione. Non gli piace l’idea di usare la bacchetta – come dice a tutti – ma nessuno sa che il motivo di questo, in realtà, è il suo essere magonò. È convinto di avere il terzo occhio ma che il suo sia specializzato nel mondo dello sport ed in nient’altro…un occhio particolare, in tutti i sensi. Non conosce la sua madre biologica ma i suoi genitori adottivi non gli hanno mai fatto sentire questa mancanza. Vuole diventare un giornalista sportivo anche se il suo sogno più grande è fare il magi-cronista delle partite di quidditch.