Ho sempre provato invidia per quanti riescono ad estrarre un suono da un oggetto vuoto.

Autografo di Mozart sul RequiemAutografo del Requiem K 626 di Wolfgang Amadeus Mozart: l’inizio del Dies Irae

Questa la frase che è apparsa la mattina del 15 gennaio 1976 sul muro dell’Ernestine Music Shop di Rockaster Avenue, una più o meno sconosciuta via di Chesterville, un anonimo paesino del Galles; anonimo almeno fino al 19 agosto del 1974, quasi un secolo fa. Adesso, proprio fuori dall’Ernestine, è possibile trovare una bancarella di Souvenir di "Mister Orchestra", una macabra serie di riproduzioni di strumenti insanguinati – una quindicina, sebbene gli unici originali siano nove – venduti in confezione unica, in una bacheca di cedro e vetro: un violino, un clarinetto, un’arpa, un organo, un triangolo, una coppia di piatti, un timpano, un flauto traverso e un corno.

Nove strumenti, per nove vittime diverse: Charlotte McAnsie, Fraçoise Murray, Dylan Quatermain, Ashley Thompson, Josephine Challan, Michelle McFlue, Dorian McFlue, Chaterine Hamster e Karen Princoren.
Charlotte McAnsie, Mezzosangue, vent’ anni, è la prima vittima. Viene ritrovata nel sottopassaggio della ferrovia poco fuori del paese. L’archetto di un violino le trapassa il collo, lacerando perfettamente la giugulare. Sul muro a cui è poggiata, con il suo sangue, è scritta la prima battuta del primo movimento del Requiem del compositore Babbano Mozart. È questo l’indizio che convince l’ispettore Auror a cui viene affidato il caso che non sarà un episodio sporadico. L’uccisione è alla Babbana, senza magia. Segni evidenti di violenza sul corpo della vittima fanno ipotizzare l’età e la stazza fisica del potenziale assassino: non più di trent’anni, massiccio.
Le teorie combaciano con la seconda vittima: Françoise Murray è trovata senza vita sulle sponde dell’Auser, il fiumiciattolo che scorre nel paese; un clarinetto piantato nel mento esce direttamente dall’altro capo della testa della diciannovenne Maganò. Su di un sasso il Requiem prosegue. Nasce anche l’ipotesi un fanatico purificatore del sangue, ipotesi che decade subito a fronte dei due omici successivi.
Dylan Quatermain, trentadue anni, è ritrovato nella soffitta di Rock Center Avenue, il 14 novembre 1974, ad un mese esatto di distanza dalla ragazza del clarinetto. Strangolato dalla corda di un’arpa. Il Requiem stavolta giace al suo fianco, in sangue scuro su pavimento di mogano.
Ashley Thompson, Purosangue radicata e convinta come il Quatermain, giace nella sala concerti della sua villa, impalata alla testa, al busto, alle mani, alle caviglie e al bacino, alle canne di un organo. Ad una prima occhiata la quarantenne pare sospesa nel vuoto, visto che le canne sono disposte per diverse altezze. Le orbite riverse osservano il soffitto, dove il Requiem si palesa.
Silenzio per due mesi, fino al 2 febbraio del 1975, quando il Requiem riprende al fianco di una bambina di otto anni, Josephine Challan, il cui cuore è attraversato da un triangolo. Uccisa ai bordi della piazza principale del paese, di ritorno a casa nel tardo pomeriggio. La situazione allarma la popolazione: è il primo omicidio che avviene quasi alla luce del sole, come a volersi far beffa del coprifuoco imposto dall’ufficio Auror a fronte dell’agire notturno dell’assassino. Sembra tuttavia ancora possibile girare in gruppo, visto che si tratta di assassinii ai danni di singoli. La mozione successiva dell’ufficio è il "divieto di circolare da soli".
Ancora una volta l’inafferrabile assassino dimostra l’inutilità degli accorgimenti di sicurezza: i gemelli McFlue sono uccisi insieme. È il 16 marzo 1975, poco prima della mezzanotte. I due giovani sono ritrovati abbracciati, nel vano tentativo del fratello di proteggere la sorella. Lui ha il capo reciso da un piatto di ottone, lei il cranio fracassato dalla martellata di una bacchetta del timpano; i Requiem alle loro spalle, quasi a far loro da aureola. Hanno ventotto anni. Non c’è legame tra nessuna delle vittime, escluso l’ultimo caso di duplice omicidio.
Tutte le piste non hanno risultati validi: ogni qualvolta sembra possibile individuare l’assassino, spunta un alibi contrario all’accusa. Finché, il 28 agosto 1975, si tenta il tutto  per tutto: sotto accusa è posta Catherine Hamster, ex musicista in pensione. Non coincide minimamente coi ritratti coerenti e plausibili. Non ha una motivazione per commettere gli omicidi, ma a lei manca un alibi valido. Vive da sola, non ha testimoni a suo favore, è il colpevole perfetto per mantenere stabile il posto del Sovrintendente Auror, anche se è una vecchietta di settant’anni. Il processo è quasi concluso a condanna finché non arriva la prova della sua innocenza. È ritrovata uccisa fuori dalla propria abitazione, un flauto traverso piantato nel centro del petto. Il flauto è la chiave di volta, è il nesso che veniva ricercato: ognuna delle vittime è stata uccisa con lo strumento che era in grado di suonare.
Anche l’assassino sa che è giunta la fine del giochi, l’ora dell’ultimo assassinio, ora che la sua logica appare chiara: il 15 gennaio del ’76 è ritrovata Karen Princoren, un corno conficcato nella testa. A fianco del Requiem la frase che giustifica tutto. La colpa all’invidia verso chi da un oggetto inanimato sa trarre melodia.
Diciotto giorni dopo, Sebastian Bloostroom è ritrovato impiccato nella cantina. Si tratta di una personalità di spicco nel panorama cittadino, un uomo di cinquantotto anni, vicesindaco e proprietario di un negozio di ferramenta ereditato dal padre; stesso negozio dove a cinque anni lui e il padre hanno perso due falangi a tutte le dita, a seguito di un incidente con un oggetto di dubbia natura, probabilmente maledetto. Questo avrebbe quindi impedito ai Guaritori di rimediare, togliendo ad entrambi la possibilità di suonare.
Che sia lui l’assassino? Dalla sua morte nessun omicidio si verifica più, il paese torna alla tranquillità e c’è solo qualche macabro espediente commerciale.

Marlene McGregor